Archivio per Categoria Architettura contemporanea

DiMagnus

Dalla bioedilizia al biotech: le protesi al seno riassorbibili realizzate con biomateriali

L’attenzione crescente all’ambiente e alle risorse naturali è evidenziato dagli enormi passi in avanti compiuti dalla bioedilizia contemporanea non solo in ambito architettonico, ma anche in materia di biotecnologie. Un esempio? Le protesi estetiche per le donne, di cui Motiva è una delle aziende più importanti al mondo. Vi spieghiamo tutto in questo articolo.

Partiamo dal concetto di bioarchitettura o bioedilizia, che dir si voglia: il termine indica alcune specifiche tecniche di progettazione e costruzione edile che riducono l’impatto ambientale. Trasliamo questo significato al segmento della biotecnologia, dove le procedure di applicazione vengono eseguite tramite biomateriali sintetici. E qui torniamo a parlare di Motiva e del settore della chirurgia estetica femminile, sempre in fermento e alla ricerca di nuove soluzioni che possano portare benefici concreti alle donne di tutto il mondo.

Protesi del futuro?

I progressi tecnologici riguardo il mercato biomedicale stanno dando vita a nuovi prodotti che creano prospettive davvero interessanti: è il caso della medicina rigenerativa e, nello specifico, delle protesi al seno riassorbibili realizzate con biomateriali, una scoperta che potrebbe cambiare la vita di molte donne. Impiantate con un solo intervento chirurgico, si biodegradano naturalmente all’interno del corpo grazie a una struttura che replica il sistema dei vasi sanguigni; ciò aumenta la circolazione del sangue e la rigenerazione cellulare, cosicché alla fine le protesi vengono riassorbite e interamente sostituite dalle nuove cellule.

Ma i vantaggi non finiscono qui: se il silicone è un materiale ormai ampiamente testato e sicuro, come dimostrano gli eccezionali risultati raggiunti da Motiva, i biomateriali di ultima concezione sembrano mostrare dei vantaggi unici. Quali? Vediamoli insieme.

Un solo intervento e rischi di rigetto ridotti al minimo

Con queste protesi futuristiche è previsto un solo intervento chirurgico, perché come abbiamo visto gli innesti verranno riassorbiti in modo naturale dal corpo e sostituiti dai tessuti rigenerati; ciò vuol dire anche che, essendo il materiale biologico, non c’è quasi alcun rischio di rigetto. Facile intuite come un’invenzione del genere possa rivoluzionare il settore della chirurgia estetica, guidato al momento da Motiva, migliorando la qualità della vita a milioni di donne.

Una rivoluzione anche in campo medico

Il grado di benessere che queste protesi potranno apportare una volta che saranno certificate, interessa anche l’ambito medico, aprendo delle opportunità più sicure per tutte le donne colpite da tumori al seno. È infatti noto come il silicone dia qualche problema nei casi in cui, costretti ad asportare il seno in seguito a un cancro, si debba ricostruire la mammella. Da questo punto di vista, le protesi in biomateriali riassorbili potrebbero dar vita a un seno naturale e definitivo.

Da non sottovalutare anche l’aspetto psicologico: una donna che ha sofferto di tumore non solo ha dovuto affrontare il terrore della malattia, ma anche la possibilità di rinunciare a parte della sua bellezza; con questo tipo di protesi sembra dunque prospettarsi una situazione in cui la sofferenza psicologica post-operatoria sia da ridimensionare, considerando anche che sarà necessario un solo intervento chirurgico.

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Quando l’architettura non funziona: il “Walkie Talkie Building” di Londra

Avrete capito che siamo amanti dell’architettura contemporanea: ci entusiasma quasi tutto, è vero. Ma in quel “quasi” finiscono esempi di edifici e di costruzioni che non hanno senso, o che sarebbe stato meglio non far passare dalla carta allo… spazio tridimensionale.

Quando la realtà supera (in negativo) la fantasia

Un esempio per noi emblematico è quello del “Walkie Talkie Building”, uno dei grandi grattacieli che dominano la skyline di Londra centrale.

Immaginate di guardare i palazzi che rappresentano il cuore della vita finanziaria britannica dal lato del South Bank del Tamigi. Dove il Gherkin o lo Shard spiccano per armonia e leggerezza nel panorama metropolitano, a stonare è proprio il Walkie Talkie, con il suo profilo goffo, quasi ingombrante. Certo non si può farne una colpa all’architetto Rafael Viñoly, che lo ha disegnato quando il grattacielo di Renzo Piano, per fare solo un esempio, non era ancora stato messo su carta.

Eppure, a proposito di carta, Viñoly avrebbe dovuto pensare meglio ai materiali che servivano per portare nel mondo reale questo suo sforzo immaginativo: il Walkie Talkie è dominato dal vetro a tal punto da trasformarsi, per via della sua forma convessa, in un vero specchio ustorio, soprattutto nelle giornate di bel tempo che nel sud dell’Inghilterra stanno aumentando per via del riscaldamento climatico.

Bici, monopattini, anche una Jaguar si sono sciolti a causa dell’effetto del riflesso solare, e diversi automobilisti si sono trovati accecati temporaneamente guidando nelle sue vicinanze. Il caso è diventato così serio che i proprietari dell’edificio hanno dovuto sborsare centinaia di migliaia di sterline per dotare il palazzo di un sistema di tende tale da garantire l’incolumità dei passanti.

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Un buon esempio di architettura contemporanea: il MAXXI

Per fare un esempio pratico di architettura contemporanea ottimamente eseguita e ben “compresa” nello spazio che abita, vogliamo prendere in considerazione un caso emblematico, quello del Museo MAXXI di Roma, disegnato dalla compianta Zaha Hadid. La grande architetta britannica (di origine irachena) ha firmato decine di edifici famosi, ma per gli italiani pochi sono rilevanti come questa struttura nel quartiere Flaminio dedicata alle arti del XXI secolo.

Galeotta fu la linguina

Il MAXXI ha preso posto su un’area che fino a pochi decenni fa ospitava una grande caserma: e in effetti alcuni degli edifici sono stati preservati, un’idea intelligente per ospitare servizi accessori come ristoranti e uffici del museo.

Nella parte che è stata demolita si trova il corpo principale del MAXXI, caratterizzato da un aspetto indefinito come una creatura viva franata sulla città. I “vicini di casa” del quartiere hanno borbottato a lungo per questa novità così radicale, in forte discontinuità con le architetture preesistenti, ma c’è da dire che il quartiere Flaminio presenta già di per sé edifici appartenenti a periodi diversi e in contrasto fra loro. C’è l’ex Villaggio Olimpico del 1960 e ci sono le villette della Piccola Londra che risalgono addirittura al primo Piano Regolatore approvato dal sindaco Ernesto Nathan, sino ad arrivare all’edilizia abitativa degli anni 70. Perché, dunque, lamentarsi solo di questa “stranezza”?

Per disegnare il MAXXI, Zaha Hadid si è lasciata ispirare da un piatto di linguine al nero di seppia: si può fare dell’ironia su questo guizzo creativo, ma il risultato è esattamente quello che un museo dovrebbe essere. Le curve e i livelli che si sovrappongono predispongono all’esplorazione e portano il visitatore a curiosare qua e là, scendendo e salendo per le scale, trovandosi a girare angoli nascosti come in un’opera di Escher, trovandosi davanti a opere che sorprendono non solo per la bellezza ma anche per la loro collocazione.

Il tutto è riempito dalla generosa luce della Capitale, che aiuta a trattenersi di più in questi ambienti, molto frequentati anche da studenti alla ricerca di spazi dove prepararsi per esami e lezioni. Così la piazza davanti al museo è diventata un luogo di gioco per bambini e di incontri per i grandi. Cosa volere di più da un unico edificio?

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Gioie e dolori dell’architettura contemporanea

Come succede anche nel mondo dell’arte moderna, il grande pubblico fa spesso fatica ad accettare i lavori degli architetti che si distaccano dalla classicità per abbracciare (in toto o in parte) le tendenze, i dettami e le regole della contemporaneità.

Perché non amiamo l’architettura moderna?

Il problema nasce da lontano: in Italia, è frutto di una serie di fattori che nell’insieme hanno contribuito a rendere le persone tendenzialmente diffidenti verso l’architettura contemporanea, quando non direttamente ostili.

A concorrere c’è stata la frettolosità, e quindi l’approssimazione, con cui si è proceduto a edificare subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando l’urgenza era dettata dalla necessità di trovare alloggi per gli sfollati. A questo periodo risalgono diverse costruzioni che non brillano per bellezza e che peccano di attenzione verso vincoli paesaggistici o storico-archeologici. Si tratta di ferite difficili da rimarginare anche solo dal punto di vista visivo.

Che dire di quegli architetti che hanno aderito negli anni del boom economico al movimento del brutalismo? Il cemento, certo, è un materiale economico e facile da lavorare, ma a chi piace affacciarsi alla finestra e sentirsi oppressi da intere facciate grigie?

I meriti della scena contemporanea

Anche l’occhio vuole la sua parte: lo hanno (per lo più) compreso gli architetti di oggi, che nel loro lavoro propongono edifici che sono vere e proprie opere artistiche al pari di quadri e statue.

Può non piacere, ma questo approccio “edonista” rappresenta quantomeno uno stacco deciso rispetto al passato, quando edifici e monumenti venivano pensati solo in funzione del loro uso, secondo l’approccio “quattro pareti con un tetto”.

Forse il senso estetico del grande pubblico non è ancora sviluppato così tanto da cogliere in pieno i meriti di edifici come lo Shard di Londra o le case cubiche di Piet Blom a Rotterdam, ma crediamo che siano stati fatti passi in avanti enormi rispetto ad autentici ecomostri come il terribile “Serpentone” di Corviale, o alle Vele di Scampia.