Archivio giornaliero 24 Febbraio 2022

DiMagnus

I dettami della bioedilizia, spiegati

Sarebbe facile pensare alla bioedilizia e alla bioarchitettura come a degli esercizi di stile adatti solo a situazioni distanti dal mondo delle grandi città: costruire in legno o in paglia, in altre parole, è facile in mezzo ai boschi o nelle province, di meno dove c’è più urbanizzazione.

È vero che queste discipline sono un atto di equilibrismo: costruire verde è complicatissimo in città. Per fortuna ci sono dei professionisti testardi il cui esempio sta avendo una grande cassa di risonanza. Per lo più chi si avvicina alla bioedilizia oggi lo fa con la convinzione che questo tipo di progettazione faccia risparmiare: è così, ma non si tratta dell’unico vantaggio!

La bioedilizia e la salute

Non solo detrazioni fiscali e materiali da costruzione di facile reperimento: la bioarchitettura e la bioedilizia sono da prendere in considerazione se la vostra priorità è quella di occuparvi della salute di chi abita vicino. Si costruisce infatti partendo da una gran quantità di materiali, la maggior parte dei quali anallergici e privi di emissioni dannose per il nostro corpo – basti pensare al radon emesso da alcuni materiali da costruzione, o gli ftalati prodotti dalla plastica. Tutti aspetti da considerare, specie dopo una pandemia che ha rimesso al centro l’importanza della “mens sana in corpore sano”.

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Più che ecosostenibili: la bioedilizia

C’è differenza tra architettura ecosostenibile e bioarchitettura (anche nota come bioedilizia). Come spiega bene questo sito, il focus della seconda branca dell’architettura è quello di tenere un atteggiamento ecologicamente corretto nei confronti dell’edificio che si sta progettando: non è possibile realizzare interventi di bioarchitettura su un edificio già esistente, perché i materiali utilizzati per la costruzione, nel 98% dei casi, non sono rispettosi dell’ambiente e non sono ecologici.

Costruire con paglia e fango

Paglia, fango, fibra di canapa, gesso, lana di roccia, legno, sono tutti materiali prediletti da chi si muove nel campo della bioarchitettura e della bioedilizia cercando un’armonia col territorio attraverso tecniche costruttive che hanno spesso origine in un passato lontano. Abbandonate per snobismo, oggi si riscoprono efficaci e funzionali.

I primi studi in materia sono stati condotti negli anni 70, ma a muoversi inizialmente su questo terreno sono stati gli altoatesini alla fine degli anni 80, prendendo ispirazione dalle tradizionali costruzioni alpine completamente in legno (e al massimo in pietra naturale). Il campo si è allargato fino a prendere come fonte di ispirazione edifici di nazioni lontane quali Vietnam, Russia, Belgio e tante altre ancora.

Le considerazioni nei confronti dell’adesione al modello della bioarchitettura ruotano per lo più intorno all’impatto sull’ambiente di materie come plastica e cemento armato, facilmente deperibili e non degradabili. Oltre a favorire materiali naturali, la bioarchitettura studia come trasformare quelli già esistenti in versioni più ecologicamente accettabili che sappiano ottimizzare le risorse e tutelare l’ambiente in cui viviamo.

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Progettare un ambiente ecosostenibile

Altrove su questo sito ci siamo occupati di suggerire come risparmiare sui consumi di casa semplicemente ricorrendo a quelle pratiche architettoniche ecologiche in grado di sfruttare il riscaldamento climatico a nostro favore.

Alcuni interventi si possono applicare su edifici già costruiti, altri invece vanno pensati in fase di progettazione dell’immobile. Ma quali? Ne abbiamo raccolti alcuni in questo articolo.

Non solo riduzione dei consumi

L’ecosostenibilità non si misura solo in termini di risparmio sui consumi: in alcuni casi, elementi di progettazione comportano uno stile di vita più semplice e armonioso. È il caso dei riscaldamenti a pavimento, che aumentano lo spazio disponibile in casa, creano ambienti meno inclini a raccogliere polvere e sporco, e spesso possono essere al centro di importanti sgravi fiscali.

Il complesso immobiliare della maggior parte delle nazioni è da rinnovare, perché non sicuro in caso di alluvioni o terremoti e spesso pericoloso per la salute (basti pensare alla quantità di edifici che presentano ancora parti in amianto). In questi casi gli interventi possibili sono diversi, dall’utilizzo di materiali certificati all’implementazione di impianti di domotica, dall’installazione di infissi di ultima generazione agli impianti per il riciclo dell’acqua piovana o fotovoltaici.

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Architettura e cambiamento climatico: cosa “copiare”

Ormai il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti. Che si creda o no al fatto che sia stato originato da attività umane come la produzione industriale di massa è irrilevante: il numero e l’intensità di eventi meteorologici estremi sembra solo destinato ad aumentare.

Esistono studi di architettura che stanno affrontando la questione di petto con la creazione di edifici non solo resistenti agli eventi più violenti (pensiamo ai tornado negli Stati Uniti, che peraltro iniziano a colpire anche le coste mediterranee), ma che provano a “mettere una toppa” con piccoli tocchi che possono essere fonte di ispirazione anche per progettare la propria casa.

Idee virtuose anche per i singoli

La progettazione dei tetti è uno degli elementi più interessanti da cui lasciarsi ispirare: nei grandi edifici pubblici i tetti sono diventati cruciali per produrre energia, per riciclare, per creare spazi verdi fruibili. Tutto per via delle loro dimensioni. Anche in una villetta o un appartamento queste idee possono essere replicate!

Altro capitolo importante è quello della riduzione dei consumi: non serve necessariamente dotarsi di pannelli solari, a volte è sufficiente iniziare dalle tinte giuste. Sia per interni che per esterni, esistono vernici specifiche che possono abbassare o alzare la temperatura percepita. Merito delle nanotecnologie!

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Quando l’architettura non funziona: il “Walkie Talkie Building” di Londra

Avrete capito che siamo amanti dell’architettura contemporanea: ci entusiasma quasi tutto, è vero. Ma in quel “quasi” finiscono esempi di edifici e di costruzioni che non hanno senso, o che sarebbe stato meglio non far passare dalla carta allo… spazio tridimensionale.

Quando la realtà supera (in negativo) la fantasia

Un esempio per noi emblematico è quello del “Walkie Talkie Building”, uno dei grandi grattacieli che dominano la skyline di Londra centrale.

Immaginate di guardare i palazzi che rappresentano il cuore della vita finanziaria britannica dal lato del South Bank del Tamigi. Dove il Gherkin o lo Shard spiccano per armonia e leggerezza nel panorama metropolitano, a stonare è proprio il Walkie Talkie, con il suo profilo goffo, quasi ingombrante. Certo non si può farne una colpa all’architetto Rafael Viñoly, che lo ha disegnato quando il grattacielo di Renzo Piano, per fare solo un esempio, non era ancora stato messo su carta.

Eppure, a proposito di carta, Viñoly avrebbe dovuto pensare meglio ai materiali che servivano per portare nel mondo reale questo suo sforzo immaginativo: il Walkie Talkie è dominato dal vetro a tal punto da trasformarsi, per via della sua forma convessa, in un vero specchio ustorio, soprattutto nelle giornate di bel tempo che nel sud dell’Inghilterra stanno aumentando per via del riscaldamento climatico.

Bici, monopattini, anche una Jaguar si sono sciolti a causa dell’effetto del riflesso solare, e diversi automobilisti si sono trovati accecati temporaneamente guidando nelle sue vicinanze. Il caso è diventato così serio che i proprietari dell’edificio hanno dovuto sborsare centinaia di migliaia di sterline per dotare il palazzo di un sistema di tende tale da garantire l’incolumità dei passanti.

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Un buon esempio di architettura contemporanea: il MAXXI

Per fare un esempio pratico di architettura contemporanea ottimamente eseguita e ben “compresa” nello spazio che abita, vogliamo prendere in considerazione un caso emblematico, quello del Museo MAXXI di Roma, disegnato dalla compianta Zaha Hadid. La grande architetta britannica (di origine irachena) ha firmato decine di edifici famosi, ma per gli italiani pochi sono rilevanti come questa struttura nel quartiere Flaminio dedicata alle arti del XXI secolo.

Galeotta fu la linguina

Il MAXXI ha preso posto su un’area che fino a pochi decenni fa ospitava una grande caserma: e in effetti alcuni degli edifici sono stati preservati, un’idea intelligente per ospitare servizi accessori come ristoranti e uffici del museo.

Nella parte che è stata demolita si trova il corpo principale del MAXXI, caratterizzato da un aspetto indefinito come una creatura viva franata sulla città. I “vicini di casa” del quartiere hanno borbottato a lungo per questa novità così radicale, in forte discontinuità con le architetture preesistenti, ma c’è da dire che il quartiere Flaminio presenta già di per sé edifici appartenenti a periodi diversi e in contrasto fra loro. C’è l’ex Villaggio Olimpico del 1960 e ci sono le villette della Piccola Londra che risalgono addirittura al primo Piano Regolatore approvato dal sindaco Ernesto Nathan, sino ad arrivare all’edilizia abitativa degli anni 70. Perché, dunque, lamentarsi solo di questa “stranezza”?

Per disegnare il MAXXI, Zaha Hadid si è lasciata ispirare da un piatto di linguine al nero di seppia: si può fare dell’ironia su questo guizzo creativo, ma il risultato è esattamente quello che un museo dovrebbe essere. Le curve e i livelli che si sovrappongono predispongono all’esplorazione e portano il visitatore a curiosare qua e là, scendendo e salendo per le scale, trovandosi a girare angoli nascosti come in un’opera di Escher, trovandosi davanti a opere che sorprendono non solo per la bellezza ma anche per la loro collocazione.

Il tutto è riempito dalla generosa luce della Capitale, che aiuta a trattenersi di più in questi ambienti, molto frequentati anche da studenti alla ricerca di spazi dove prepararsi per esami e lezioni. Così la piazza davanti al museo è diventata un luogo di gioco per bambini e di incontri per i grandi. Cosa volere di più da un unico edificio?

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Gioie e dolori dell’architettura contemporanea

Come succede anche nel mondo dell’arte moderna, il grande pubblico fa spesso fatica ad accettare i lavori degli architetti che si distaccano dalla classicità per abbracciare (in toto o in parte) le tendenze, i dettami e le regole della contemporaneità.

Perché non amiamo l’architettura moderna?

Il problema nasce da lontano: in Italia, è frutto di una serie di fattori che nell’insieme hanno contribuito a rendere le persone tendenzialmente diffidenti verso l’architettura contemporanea, quando non direttamente ostili.

A concorrere c’è stata la frettolosità, e quindi l’approssimazione, con cui si è proceduto a edificare subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando l’urgenza era dettata dalla necessità di trovare alloggi per gli sfollati. A questo periodo risalgono diverse costruzioni che non brillano per bellezza e che peccano di attenzione verso vincoli paesaggistici o storico-archeologici. Si tratta di ferite difficili da rimarginare anche solo dal punto di vista visivo.

Che dire di quegli architetti che hanno aderito negli anni del boom economico al movimento del brutalismo? Il cemento, certo, è un materiale economico e facile da lavorare, ma a chi piace affacciarsi alla finestra e sentirsi oppressi da intere facciate grigie?

I meriti della scena contemporanea

Anche l’occhio vuole la sua parte: lo hanno (per lo più) compreso gli architetti di oggi, che nel loro lavoro propongono edifici che sono vere e proprie opere artistiche al pari di quadri e statue.

Può non piacere, ma questo approccio “edonista” rappresenta quantomeno uno stacco deciso rispetto al passato, quando edifici e monumenti venivano pensati solo in funzione del loro uso, secondo l’approccio “quattro pareti con un tetto”.

Forse il senso estetico del grande pubblico non è ancora sviluppato così tanto da cogliere in pieno i meriti di edifici come lo Shard di Londra o le case cubiche di Piet Blom a Rotterdam, ma crediamo che siano stati fatti passi in avanti enormi rispetto ad autentici ecomostri come il terribile “Serpentone” di Corviale, o alle Vele di Scampia.